Colpi di Stato permanenti di Quentin Hardy

Fonte Terrestres 

Abbiamo tratto questo articolo dalla Rivista Terrestres: riteniamo che le riflessioni contenute nell’articolo ci riguardino …..editor ( traduzione automatica google )

 

Cosa ci sta succedendo politicamente? Soffia un brutto vento e giorni felici non tornano. All’orizzonte, le promesse di autogoverno, di miglioramento della vita quotidiana, di emancipazione dal dominio, di godimento del presente svaniscono nella nebbia. Dopo il tempo dell’indignazione, della rabbia, ecco quello della paura. Ma inevitabilmente tornerà il tempo della rabbia politica.

 

 

Tre eventi significativi si sono verificati recentemente in tre paesi dell’Europa orientale. La Polonia ha votato con urgenza una legge che punisce l’occupazione delle università con 3 anni e una multa di 5.000 euro, attaccando duramente le libertà accademiche. Il potere della polizia in Bielorussia reprime ferocemente una rivolta estremamente popolare nel Paese: in quattro mesi, 24 feriti, 5 mani strappate e 2.500 feriti. In Ucraina, un doppio attacco islamista ha scosso profondamente il Paese; lo shock nell’opinione pubblica è stato seguito da un’offensiva senza precedenti dei media e del governo che ha aperto la strada a misure fasciste. In questi tre paesi, tre decenni di neoliberismo hanno amplificato le disuguaglianze e brutalizzato la società.

Dove sta andando questa parte del continente, a forza di approfondimenti autoritari e misure eccezionali? La valanga di leggi liberticide, le coperture date alla polizia e la circolazione accelerata dei discorsi marziali producono una nuova normalità politica. Come qualificare questo stato sociale e questo regime di esistenza che non sappiamo ancora nominare, se non con quello del liberalismo autoritario1 – un termine che a sua volta può sembrare impotente per spiegare la specificità dell’attuale sequenza politica? L’osservatore onesto deve ammettere questa prova: con questo nuovo irrigidimento, questi paesi si stanno allontanando ulteriormente dallo stato di diritto nell’Europa occidentale e stanno senza dubbio sprofondando nelle società pre-fasciste.

In realtà, queste tre situazioni sono concentrate all’interno di un altro Paese, in forma esagonale e con il motto repubblicano libertà-uguaglianza-fraternità. I fatti riportati si sono verificati tutti nel prossimo passato sul nostro suolo repubblicano2 .

Abbiamo saputo da Montesquieu e dalle sue Lettere persiane (1721) che ciò che più fuorvia il nostro giudizio politico è la falsa familiarità con la nostra condizione e l’abitudine che indebolisce tutto. Interpretando un viaggiatore straniero a Parigi per descrivere la società francese nel XVIII secolo, il filosofo offre uno sguardo distante che porta verità politiche. Rendendo l’ordinario esotico, riuscì a un sottile attacco al sistema monarchico denunciando in particolare la concentrazione dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) nella persona del re.

VIVERE SOTTO IL TRIPLO DOMINIO

Trecento anni dopo, il regime politico è cambiato così come le principali istituzioni. Ma, sotto il nostro cielo repubblicano, le nostre esistenze rimangono poste sotto una triplice dipendenza macro-strutturale: potere della polizia di stato, potere tecnologico-digitale, potere del capitale.

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Quando le decisioni sul lavoro vengono prese dalla macchina

FONTE CONTRETEMPS.EU

Tuttavia, nonostante l’ondata di Trump, nessun segnale viene registrato sul lato aziendale, il che mostrerebbe una diminuzione dell’outsourcing della produzione verso paesi con bassi costi del lavoro. Al contrario, l’aumento delle competenze delle aziende in questi paesi consente loro di migliorare la propria offerta di servizi verso prodotti di fascia alta. D’altra parte, l’automazione influisce su tutte le attività, ma su lavori specializzati più fortemente intermedi. Questi sono caratterizzati da un lavoro di routine che coinvolge compiti intellettuali e manuali, eseguiti secondo un insieme esplicito di regole: industria manifatturiera (dagli elettrodomestici alle automobili) e attività di servizio (contatore, consulente clienti). Questa esternalizzazione e automazione sono le due principali cause identificate come che portano alla polarizzazione dei lavori che sembra preoccupare così tanto il FMI e l’OCSE. Questi fenomeni sono stati identificati in molti paesi occidentali, compresi gli Stati Uniti[3] , Germania [4] e Francia [5] .

La polarizzazione dei posti di lavoro e i crescenti fenomeni che la accompagnano, come la flessibilità e la precarietà, in particolare attraverso lo sviluppo del subappalto di attività dalle più grandi aziende alle più piccole, portano a ciò che David Weil designa con il termine di luoghi di lavoro fessurati [6]  : un luogo in cui la diversità dello status dei lavoratori, una concorrenza sfrenata organizzata tra loro o tra i subappaltatori minano i salari, le condizioni di lavoro e la solidarietà. Phoebe Moore era particolarmente interessata all’influenza della digitalizzazione ( digitalizzazione) attività come strumento che accompagna (e consente in larga misura) questa destrutturazione del lavoro umano per profitti sempre maggiori per le aziende che avviano catene di valore con in cambio attività più vincolate e meno remunerate per la maggioranza dei lavoratori [7 ] .

Questo articolo fa parte di questa logica. Usando esempi concreti tratti dagli eventi attuali degli ultimi due anni, mostra la crescente tentazione che alcune persone sentono di considerare il lavoratore come un sostituto dell’automa: che è virtuale quando è è un algoritmo o nella forma molto reale di un robot nel settore.

 

Tanto lavoro umano il cui merito va all’algoritmo

Nel frattempo i robot. Indagando sul lavoro a click [8] , Antonio Casilli ha dimostrato quanto l’apprendimento, ma anche il funzionamento quotidiano dell’intelligenza artificiale, dipenda ancora dagli umani. Spesso il lavoro ripetitivo e poco remunerato, la mancanza di protezione sociale, l’isolamento professionale, lo status di lavoratore autonomo di questi lavoratori a scatto contribuisce a minare le basi della regolamentazione dell’organizzazione del lavoro attuata dalla fine del XIX secolo grazie le lotte dei lavoratori e quelle dei sistemi di protezione sociale.

Analogamente, negli ultimi anni è stato osservato che lo sviluppo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) in forme sempre più avanzate può avere l’effetto di degradare significativamente le condizioni di lavoro e aumentare i rischi. professionisti, mentre l’automazione sotto controllo sociale potrebbe avere risultati opposti: riduzione delle difficoltà fisiche e intellettuali, riduzione dell’orario di lavoro, ecc.

La cosa più sorprendente in questo caso è che sembra accadere in una relativa indifferenza del corpo sociale (a parte alcune lotte dei lavoratori), come se la presenza di software, algoritmo, automa eliminasse le abitudini datore di lavoro delle sue responsabilità in termini di salute e sicurezza sul lavoro e anestetizzato la risposta della società, anche degli Stati e degli organi competenti in materia di regolamentazione e controllo del lavoro e delle sue condizioni. Certo, i sindacati organizzano la risposta, ma sembra avere meno peso (o anche meno legittimità) che se si trattasse di aziende convenzionali e non di imprese dell’economia digitale.

La situazione è tanto più impegnativa in quanto la porosità sta aumentando di giorno in giorno tra le cosiddette compagnie classiche e quelle dell’economia dei concerti , i metodi di lavoro di questi ultimi percorrono sempre più verso i primi, in un momento in cui si stanno formando alleanze. , dove vengono organizzati i buyout e vengono create filiali comuni. Cosa sta succedendo allora? Come è cambiata la situazione negli ultimi anni che giustificherebbe prestare meno attenzione alla persona umana?

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Stampa mainstream francese

 

L’analisi della presentazione superficiale della situazione italiana nella stampa mainstream francese mi pare almeno parzialmente giusta? (Certo analisi anche lei un pò superficiale: il Roberto Lombardi è Roberto Maroni, credo!) Ma la vedo almeno plausibile: il franco-centrismo, la macromania da cortigiani del Re Sole (ma oggi per il solo povero “président des riches”) e la mediocrità qualitativa della “stampa dei miliardari” sono una realtà verificabile quotidianamente.

Ho l’impressione che la stampa mainstream attuale, più è europeista sull’economia, meno è in grado di (e ha meno voglia di) informare sugli altri paesi, i popoli e le società europee: bastano i soliti clichés  e i paragoni strumentali, per meglio tornare alla propria scena provinciale-nazionale.
L’Europa è una costruzione di élites, che parlano inglese?
Jean Olivier Pisa

Rossana Rossanda: Macron l’americano

di Rossana Rossanda

Fonte Inchiestaonline.it

 

Diffondiamo da sbilanciamoci.info del 26 aprile 2018

Grande frastuono mediatico in Francia per la visita di Emmanuel Macron al presidente degli Stati Uniti: in questo momento, mentre scrivo, sta concludendosi con un discorso in inglese al congresso. Si sono sprecati gli abbracci, i baci e altre carinerie.

Tutti e due, il Donald e l’Emmanuel, avevano bisogno di una immagine rinfrescata; ma il bilancio politico del presidente francese appare modesto. Soprattutto sono emersi i dissensi a proposito del Medio Oriente e in particolare dell’Iran: Macron era molto più mite di quanto non sia stato il suo ospite americano, che ha addirittura alzato la voce contro i fatali persiani. “Abbiamo riempito il Medio Oriente con miliardi di dollari, senza averne nulla in cambio: adesso la musica cambia!” Macron ha cercato di rimediare la violenza di Trump, proponendo un rinnovo del contratto a suo tempo firmato da Obama, ma Trump non ha ceduto: la scadenza del vecchio contratto è il 12 del mese prossimo. In quel giorno, Trump farà sapere il suo parere.

Neanche sul problema dei dazi su acciaio e alluminio esportati dalla Francia si è lasciato commuovere, ma questo è secondario rispetto alle ambizioni di Macron di svolgere un ruolo internazionale come rappresentante degli stati europei. Effettivamente, è più lui ad aver bisogno dell’amico americano che il reciproco: Trump ha l’aria di stare benissimo anche da solo, mentre Macron si trova in una difficile situazione nel proprio paese.

Lo sciopero dei ferrovieri non declina, anche se è molto difficile da sopportare per gli utenti: anzi, i ferrovieri hanno segnato un punto rifiutandosi di continuare il dialogo fra sordi con la ministra dei trasporti Elisabeth Bornet. Hanno interrotto i rapporti con lei chiedendo di trattare direttamente col presidente del consiglio Edouard Philippe, e dopo qualche diniego, lo hanno ottenuto: l’incontro fra tutte e tre i sindacati e Philippe avrà luogo il 7 maggio. Sono in ballo non soltanto le sorti della SNCF e in particolare il suo ingente debito, ma anche lo statuto speciale dei ferrovieri, che il governo intende rinnovare: effettivamente, era diversa la condizione di lavoro quando i macchinisti dovevano riempire di carbone le locomotive in mezzo a un sudiciume e un calore asfissiante, tuttavia il pensionamento anticipato rispetto ad altre categorie e i vantaggi salariali non sono “privilegi” cui è facile rinunciare. Lo sciopero che si rinnova ogni 10 giorni e dura ogni volta 48 ore, non declina e fino ad oggi è appoggiato anche dall’opinione pubblica che continua ad amare i suoi cheminots. Non solo, ma la compagnia aerea di bandiera Air France si è aggiunta all’agitazione della SNCF, sia pure senza l’andamento a singhiozzo della mobilitazione dei ferrovieri. Anche alcune università si sono inserite nel movimento: niente però di simile alle molte rievocazioni del ’68.

In questa situazione, a Macron giova vantarsi di essere il primo rappresentante di un paese europeo che Trump ha invitato, non senza stendere il tappeto rosso e tutti gli onori del cerimoniale. Anche le due consorti Brigitte e Melania hanno fatto la loro parte: mentre gli uomini si occupavano di politica, cioè delle cose serie, esse, bianco vestite, visitavano una esposizione di Cézanne oppure (Melania) si occupavano del menu e della decorazione del tavolo serale. Naturalmente la stampa degli Stati Uniti ha dato all’evento minore rilievo di quella francese, che non ci ha risparmiato nulla dei tre giorni di visita.

Francia: Ieri un’altra grande giornata di sciopero in Francia. Oggi la polizia sgombera Tolbiac

 Fonte Dinamopress

Continua lo sciopero francese con adesioni e numeri di piazza altissimi. Questa mattina il governo Macron ha lanciato la sua durissima controffensiva sgomberando la sede universitaria di Tolbiac

In Francia prosegue la lotta su più fronti contro il governo e le politiche di Macron che ha lanciato un’offensiva a 360 gradi contro tutto il settore pubblico, dai trasporti della SNFC all’Università, dalla loi asile et immigration al tentativo di sgombero della ZAD. Macron ha rivelato il suo vero volto neoliberale che unisce privatizzazione selvaggia e conservatorismo estremo –peggio di Le Pen, si dice nelle piazze. Ecco di quale “guerra civile europea” sta parlando.

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La frontiera dove l’Europa ha perso l’anima

Fonte Ilmanifestobologna

di Marco Revelli

Colle del Monginevro, 1.900 metri di quota, a metà strada tra Briançon e Bardonecchia. È su questa linea di frontiera che oggi batte il cuore nero d’Europa. È qui che la Francia di Emmanuel Macron ha perso il suo onore, e l’Europa di Junker e di Merkel la sua anima (quel poco che ne rimaneva). In un paio di mesi, in un crescendo di arroganza e disumanità, i gendarmi francesi che sigillano il confine hanno messo in scena uno spettacolo che per crudeltà ricorda altri tempi e altri luoghi.

È appunto a Bardonecchia che si è verificata l’irruzione di cinque agenti armati della polizia di dogana francese nei locali destinati all’accoglienza e al sostegno ai migranti gestiti dall’associazione Rainbow4Africa, per imporre con la forza a un giovane nero con regolare permesso in transito da Parigi a Roma di sottoporsi a un umiliante esame delle urine, dopo aver spadroneggiato, minacciato e umiliato i presenti.

Davanti a quello stesso locale, a febbraio, ancora loro, gli agenti di dogana francesi, avevano scaricato come fosse spazzatura il corpo di Beauty, trent’anni, incinta di sette mesi e un linfoma allo stadio terminale che le impediva il respiro. Aveva i documenti in regola, lei, ma non Destiny, il marito, così l’implacabile pattuglia l’aveva fatta scendere dal pullman che da Clavier Oulx porta alla terra promessa, quella dove lo jus soli avrebbe permesso al loro figlio di nascere europeo, e incurante delle condizioni disperate l’aveva abbandonata a terra, al gelo.

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La Francia agisca nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone e delle norme internazionali, europee e nazionali

 Fonte ASGI

Il parere giuridico dell’ASGI sulla vicenda di Bardonecchia: ecco le norme vigenti.

In seguito alla richiesta di spiegazioni da parte del Governo italiano, le autorità francesi hanno affermato che i controlli effettuati dagli agenti della Dogana francese nei locali della stazione di Bardonecchia in cui operano i medici di Rainbow4Africa e i mediatori culturali del Comune si sarebbero svolti nel rispetto della normativa vigente.

Le norme europee e gli accordi tra Italia e Francia, intervenuti nel corso degli anni per disciplinare la cooperazione transfrontaliera in materia di polizia e dogana così come le operazioni congiunte di polizia, prevedono che gli agenti francesi possano operare sul territorio italiano, nelle zone di frontiera, ma stabiliscono determinate procedure e specifici limiti e condizioni, che nella vicenda svoltasi venerdì sera sono state palesemente violate.

Il parere giuridico dell’ASGI

Piattaforme e lotta di classe: intervista con Hadrien, membro del Collettivo dei fattorini autonomi di Parigi (CLAP) – di Plateforme d’Enquêtes Militantes

 

 

Riprendiamo da EFFIMERA, che ringraziamo,  questa interessante intervista sulle condizioni di lavoro dei fattorini in bicicletta francesi che portano pasti  dai ristoranti alle case dei clienti. Sono grandi piattaforme di e-commerce  che prendono le ordinazioni e le distribuiscono ai fattorini tramite le app. Il fattorino viene monitorato con algoritmi che ne definiscono il rendimento e sulla base dei dati di profilazione che ciascun fattorino subisce, gli viene consegnato nuovo lavoro o viene licenziato, via app , naturalmente. In Francia ci sono state le prime lotte di cui si parla nell’intervista.

Pubblichiamo la traduzione italiana, a cura di Davide Gallo Lassere, Andrea Fumagalli e Alice Monticelli, di un’intervista apparsa l’11 novembre sul blog di Plateformes d’enquêtes militantes

PEM: Da qualche anno si parla sempre più di “capitalismo delle piattaforme”, ma che cosa s’intende con questa espressione?

Hadrien: La parola “piattaforme” è piuttosto generica e può concernere molte imprese di servizi diversi: delle aziende come Uber o delle piattaforme di pagamento online come Paypal o ancora delle strutture più o meno associative come, in Francia, La ruche qui dit Oui. Queste piattaforme sono tutte organizzate su dei modelli decisamente differenti e se è senz’altro vero che alcune di esse sono riuscite a stabilizzarsi, altre più recenti hanno un modello meno sicuro e funzionano grazie a degli investimenti rischiosi. In linea generale si può comunque individuare una struttura comune a queste piattaforme digitali, ossia proporre un modo d’organizzazione aperto, che gestisce, da un lato, molti “contributori” (dalla vendita di prodotti a quella di forza-lavoro) e, dall’altro, il mercato stesso tramite la messa in relazione tra consumatori, la gestione di una quantità importante di dati, ecc. Vi è effettivamente una rottura con il modello dell’impresa più “tradizionale”, quello dell’azienda, nel senso in cui tali piattaforme mettono in relazione dei clienti “partner” senza impegnarsi nei confronti della resa dello scambio, di cui si limitano a prelevare una percentuale. Ossia, tutto essendo a loro carico, i contributori devono assicurarsi individualmente di produrre a sufficienza o di realizzare delle vendite sufficienti in quanto il loro salario è a esse legato.

Per ciò che ci riguarda, le piattaforme “footech” come Deliveroo, Foodora, UberEats o ancora Stuart (per citare le più importanti), sono arrivate piuttosto recentemente in Europa (a partire dal 2010). Il loro modello è abbastanza classico e simile per tutte: oltre alla gestione delle consegne, giustificano le loro attività tramite la messa in relazione dei consumatori con dei ristoranti, garantendo la fatturazione e soprattutto la pubblicità per i ristoranti partner. Il loro modo di finanziamento passa per una percentuale sulle ordinazioni (tra il 20 e il 30% della somma totale per Deliveroo per esempio), ma malgrado il loro basso costo (siccome hanno una debole massa salariale da gestire e pochissime infrastrutture) si tratta di un settore in cui vi sono molti fallimenti, a causa del poco valore aggiunto delle corse. Il modello economico implica infatti una posizione quasi-monopolistica per poter diventare profittevole, e per riuscirci ricorrono spesso a delle pratiche di marketing aggressivo: ossia dei costi per ogni corsa molto bassi al fine di attirare i clienti, un reclutamento massiccio di fattorini (che si traduce dunque per un abbassamento del salario), ma anche la dipendenza rispetto a degli investitori in capitale-rischio. Questa instabilità può essere veramente problematica, siccome i fallimenti sono frequenti e le conseguenze drammatiche per i fattorini: basti guardare ai fallimenti di Take Eat Easy, fino ad allora leader del mercato francese, nel luglio del 2016, o quello della piattaforma TokTokTok qualche mese dopo, la quale, oltre a lasciare sul lastrico i fattorini, ha pure fatto perdere loro un mese intero di salario.

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Que faire des déchets nucléaires ? La question qui divise la France

 

FONTE EQUALTIMES.ORG 

Anti-nuclear demonstrators in front of a nuclear power station in Saint-Vulbas, near Lyon, on 15 March 2011. The world’s second largest producer of nuclear energy, France, has been faced with the quandary of what to do with the radioactive waste from nuclear power plants for decades.

Le 15 août, un militant antinucléaire a failli perdre son pied lors d’une manifestation à Bure, dans l’est de la France. Un mois plus tard, le 20 septembre, la police effectuait dans cette même commune plusieurs perquisitions dans des lieux hébergeant des militants, dont l’emblématique «Maison de la résistance à la poubelle nucléaire », qui fédère la lutte.

C’est que, depuis quelques mois, le petit village de Bure, dans la Meuse, cristallise la lutte antinucléaire en France. En 1998, il a été choisi pour accueillir le projet d’un Centre industriel de stockage géologique (Cigéo), où 85.000 mètres cubes de déchets hautement radioactifs à vie longue devront progressivement être enfouis dans une couche d’argile, à 500 mètres de profondeur, par le biais d’opérations qui devraient durer un siècle et demi.

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Il presidente ‘divino’. di Rossana Rossanda

 fonte SBILANCIAMOCI

Da un certo punto di vista quella che è riuscita a Macron è una operazione eccezionale: ha demolito il panorama politico dell’ultimo mezzo secolo, venendo incontro all’ondata populista che ha pervaso anche la Francia, ma poi al posto dei partiti storici e dei loro leader è riuscito a porre se stesso come un potere quasi […]

Nessun capo di stato in Europa è stato accompagnato dalla pregiudiziale positiva di cui ha goduto Emmanuel Macron, giovane brillante e colto. Del suo valore del resto è lui stesso il primo a essere persuaso: di fronte al vecchio Hollande che rivendicava di essere “un presidente normale”, in polemica con l’esagitato suo predecessore Macron ha dichiarato di voler restituire sacralità alla funzione e si è richiamato non all’esempio di Charles De Gaulle e neppure di qualche altro importante monarca della storia precedente alla prima Repubblica ma addiritura a un dio, anzi  al primo degli dei. Giove.

Fin dalla prima mezz’ora dopo essere stato eletto, Macron ha prediletto le immagini di se stesso in maestà, e parlando non è certo agli “io” che ha rinunciato. Da un certo punto di vista gli è riuscita una operazione eccezionale: ha demolito il panorama politico dell’ultimo mezzo secolo, venendo incontro all’ondata populista che ha pervaso anche la Francia, ma poi al posto dei partiti storici e dei loro leader ha posto se stesso come un potere quasi incondizionale. Una manovra populista  di prima grandezza.

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Macron, il nuovo ritorno al vecchio liberalismo conservatore autocratico

FONTE PRESSENZA.COM

19.09.2017 – Riccardo Petrella

Macron, il nuovo ritorno al vecchio liberalismo conservatore autocratico

«Non cederò niente né ai fannulloni, né ai cinici, né agli estremi » («Je ne céderai rien ni aux fainéants, ni aux cyniques, ni aux extrêmes»), è in questi termini che il presidente Macron ha reagito alla mobilitazione popolare del 12 settembre contro la riforma del codice del lavoro. Eppure secondo un sondaggio realizzato il 13 e 14 settembre per conto di FranceInfo e di Le Figaro il 60 % degli intervistati si è espresso contro la riforma e solo il 26 % considera che i decreti governativi (39 in totale approvati in due mesi dal nuovo governo francese !) avranno un impatto positivo sul lavoro. Il 38 % pensa, al contrario, che avranno un impatto negativo. Per il restante 36%, non avrà nessun impatto.

Ricordiamo che Macron ha imposto alla «sua» Assemblea Nazionale di approvare la delega al governo per modificare il codice del lavoro unicamente via decreti governativi senza più alcuna partecipazione del parlamento francese. Ora, il lavoro resta un campo fra i più importati per la vita di ogni persona ed il vivere insieme dopo essere stato per più di un secolo la grande questione sociale dei paesi occidentali. Per l’autocratico Macron ciò non conta nulla.

L’ispirazione di fondo della sua riforma consiste precisamente nel tentare – sono sue parole -di liberare l’economia francese (e la società) dai vincoli e dalle regole che l’ impediscono di creare occupazione dando forza alla flessibilità e riducendo considerevolmente l’obiettivo della sicurezza. Per lui il lavoro non riveste più un carattere di essenzialità per la vita. Esso non è più un diritto ma un’opportunità. 

Inoltre la riforma è centrata sul principio di fare dell’impresa il luogo e lo «spazio sociale» unici degli accordi sul lavoro relegando al museo dell’oblio gli accordi settoriali, di categoria e nazionali.

Macron sta applicando gli stessi principi nel campo della casa. Il «piano alloggio» da lui presentato l’11 settembre a Tolosa come un «patto alle collettività locali» ha l’obiettivo di « liberare la costruzione di alloggi grazie alla riduzione delle esigenze e le norme ambientali e sociali», da lui considerate espressione di «buoni sentimenti» allorché la politica è fatta di «pragmatismo».

Oramai la maggioranza delle classi dirigenti oggi al potere in Europa non ha più vergogna di legiferare relegando ad un ruolo di poco conto i parlamenti nazionali e di dichiarare che i diritti umani (del e al lavoro, alla casa, all’acqua per la vita, alla salute, alla conoscenza…) non sono più, a loro avviso, fonte ispiratrice  della regolazione collettiva.

In piedi, cittadini!

Bruno Giorgini: La rivoluzione di Macron. Il mare degli astenuti. Il disastro della sinistra

Bruno Giorgini | 14 giugno 2017 | Comments (0)

FONTE INCHIESTAONLINE

 

La rivoluzione di Macron.

 

Dal punto di vista della presa del potere con le recenti elezioni politiche si è compiuta. Dopo il potere presidenziale, Macron ha ottenuto anche il potere legislativo assicurandosi una ampia maggioranza assoluta all’Assemblea Nazionale, il parlamento. Le forze che potevano prefigurare una opposizione significativa giacciono sbaragliate ai lati della strada che segna il percorso trionfale del neo Presidente della Republique. Il FN s’arrovella con un pugno di deputati possibili; i Repubblicani, che si volevano gli eredi di De Gaulle,  sono ridotti ben sotto il centinaio e paiono in piena depressione politico psicologica coi loro leader screditati che palesemente non contano nulla; i socialisti ripongono le gloriose bandiere negli armadi, apprestandosi a licenziare i loro funzionari e a cambiare sede, insomma smobilitano con qualche decina di deputati se va bene. Infine la sinistra sinistra di Mélenchon, la France Insoumise, dal 19% delle presidenziali  è tornata all’ 11% , il numero di consensi che l’estrema sinistra raccoglie ormai da un paio di decenni, punto più punto meno. Mentre il Parlamento viene invaso da  oltre quattrocento giovani leoni e leonesse dei REM, la Republique En Marche, il nuovo partito che fino a un anno fa non esisteva.

A spiegazione di un tale fulmineo successo, leggo e sento paragoni impropri con Renzi o Grillo, che non c’entrano nulla. Se Grillo è figlio della commedia dell’arte, mentre Renzi incarna alla perfezione il ganzismo toscano, Macron viene dritto dritto dall’illuminismo in versione cartesiana, e da intense frequentazioni filosofiche con Paul Ricoeur per un verso e di tecniche finanziarie con la Banca Rothschild per l’altro. Due maestri non di poco conto. Come spiega Toni Negri in  “Descartes Politico”, Cartesio fu il precursore dell’ideologia borghese rivoluzionaria, la “ragionevole ideologia”, mentre la commedia dell’arte rivoluzioni non ne ha mai prodotte nonostante la carica di rivolta e critica del potere che per esempio Dario Fo le attribuisce. Così Grillo sta rancoroso in panchina mentre i suoi si vestono da ragionieri col ditino alzato – Di Maio ne è il noioso prototipo, seppure Di Battista e Fico per dire un po’ si differenzino ma senza potere scantonare troppo se no il capo li sgrida – e Macron vola all’Eliseo scaravoltando l’intero sistema dei partiti. Non le istituzioni però, che almeno nelle forme la V Repubblica ancora vige sovrana. Per ora perchè il Presidente pare abbia l’intenzione di trasformare lo stato d’eccezione col suo corredo di superpoteri ai corpi di polizia e ai servizi di sicurezza, a detrimento dei diritti di libertà dei cittadini, da misura eccezionale appunto a permanente assetto costituzionale. Il che introduce il problema di che rivoluzione si tratti. Qualcuno riconoscendo la dinamica rivoluzionaria dell’ascesa macronista, ritiene però che, sull’onda della rivoluzione, avanzi al galoppo una ipotesi di restaurazione  quasi totalitaria del potere e del comando capitalista dentro le aziende sul lavoro – in linguaggio marxista: il comando del lavoro morto sul lavoro vivo – e nella società affermando  il dominio del capitale senza più alcuna autonomia politica economica civile dei cittadini, trasformati in pure appendici degli algoritmi che decidono e regolano i flussi finanziari. Gramsci docet: non sempre le rivoluzioni sono progressive. Al momento siamo agli inizi, anche se le cose procederanno svelte, ma la direzione ancora non è così netta e predeterminata. Personalmente mi fido dei vecchi amici, per esempio Dany il rosso, Daniel Cohn – Bendit che viene dritto dritto dal maggio francese, il quale dimostra stima e amicizia per Macron.

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Bruno Giorgini: Oui Macron. Comincia la lotta di classe

FONTE INCHIESTAONLINE.INFO

 

 

 

VINCERE O MORIRE è il titolo di un bel libro dove Pablo Iglesias, leader di Podemos, ha raccolto una serie di saggi sulla legittimità e il potere, la presa del potere, col significativo sottotitolo “Lezioni politiche nel Trono di Spade” , che come tutti sanno è una saga televisiva di grande successo. Vincere o morire deve essersi anche detto Macron, l’enfant prodige della borghesia liberale finanziaria che con ascesa fulminante ha preso il potere in Francia, diventando Presidente della Republique per antonomasia.

La legittimità l’ha ottenuta al primo turno arrivando primo seppure di poco tra i quattro sfidanti. Quindi l’ha coltivata nello spaziotempo che lo separava dal ballottaggio. L’ha affermata poi nello scontro diretto con Marine Le Pen, robusta grande borghese nazional populista – dicono con indulgenza molti osservatori – comunque con netti tratti xenofobi, razzisti e fascistoidi. Le Pen, sperando di battere a colpi di bastone la spada affilata della ragione cartesiana e illuminista del suo avversario, ha tentato di scimmiottare la lingua del popolo povero, derelitto, e incazzato, precipitando invece nel grottesco.

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Tra il buio del fascismo e lo schiavismo neoliberista

FONTE ALFABETA2  CHE RINGRAZIAMO

Franco Berardi Bifo

Sembra inevitabile di questi tempi scegliere tra schiavismo e fascismo. Lo schiavismo neoliberale ha vinto in Francia fermando (temporaneamente) l’avanzata del fascismo, e pare che dobbiamo esserne contenti. La vittoria di Emmanuel Macron permetterà di allentare lo strangolamento che ha asfissiato i lavoratori dell’Unione Europea? Credo piuttosto che la vittoria di questo estremista liberista sia destinata a intensificare in Francia l’offensiva anti-sociale, l’impoverimento dei lavoratori, la precarizzazione.

Emmanuel Macron si è presentato sulla scena promettendo di licenziare 120.000 impiegati pubblici, e ha ottenuto il sostegno di François Fillon, il quale, per parte sua, mentre intascava un milione di euro intestati alla moglie Penelope, prometteva di licenziarne 500.000. Macron ha promesso di portare a termine le riforme timidamente abbozzate dal governo Hollande, e di rivedere la loi el Khomri così da rendere più fluida la precarizzazione del lavoro che negli anni scorsi non è stata imposta fino in fondo per le resistenze della società. Macron, che si è formato culturalmente all’interno del sistema bancario, ha un compito: sfondare la resistenza della società francese per piegarla definitivamente all’ordine finanziario.

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Il cittadino Macron arriva all’Eliseo

FONTE SBILANCIAMOCI

La Francia ha dunque il suo presidente. È stato votato dal 66,06% degli elettori, in sostanza oltre 20 milioni di persone. Marine Le Pen ha totalizzato il 33,94% cioè 10 milioni e 600 mila francesi, cioè il doppio di quanto era riuscito a suo padre nel 2002. L’astensione è stata del 25,38, pari a 12 […]

La Francia ha dunque il suo presidente. È stato votato dal 66,06% degli elettori, in sostanza oltre 20 milioni di persone. Marine Le Pen ha totalizzato il 33,94% cioè 10 milioni e 600 mila francesi, cioè il doppio di quanto era riuscito a suo padre nel 2002. L’astensione è stata del 25,38, pari a 12 milioni di francesi; i voti bianchi o nulli sono stati più di 4 milioni.

Viste più da vicino queste cifre confermano grandi processi per ora in corso. Anzitutto la vittoria indiscutibile di Macron, che un anno fa neppure era conosciuto; in secondo luogo la divisione sociale del paese. Hanno votato per Macron soltanto i grandi centri urbani; per Le Pen le campagne e le periferie cittadine. Il 32 per cento e quasi il 30 sono stati, rispettivamente il massimo e il minimo dell’affluenza nelle città. Un’altra connotazione del voto è stata la grande astensione, di norma mai raggiunta in una presidenziale (salvo quando sono stati in lizza due candidati repubblicani); lo stesso può dirsi dei voti bianchi e nulli.

È un’indicazione politica inequivocabile: certo, la cancellazione dei due partiti (socialisti e repubblicani) che si sono divisi il parlamento e il potere, nella quinta repubblica, si deve anche al sistema elettorale indecente, che non per caso attira qualcuno anche in Italia. Esso, limitando il risultato finale a due nomi, ha aiutato a cancellare i due partiti fino a ieri sempre essenziali, ma è un fatto che nessuno dei due è stato capace di gareggiare con il Fronte Nazionale di Marine Le Pen, che la sua strada se la è scavata. Neppure davanti alla provocazione fascista la sinistra è riuscita ad esistere.

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Macron-Le Pen, non votare il male minore è una scelta assurda e tragica

Riprendiamo integralmente dal sito www.micromega.net”,  © Paolo Flores d’Arcais

di Paolo Flores d’Arcais

Il 25 aprile, festa nazionale perché festa della Liberazione, cioè della vittoriosa insurrezione antifascista, la testata on line dell’Espresso ha pubblicato una intervista all’economista di sinistra Emiliano Brancaccio (realizzata da Giacomo Russo Spena), il cui titolo, perfettamente perspicuo, recitava: “Perché io, di sinistra, non voterei Macron per fermare Le Pen”.

L’intervista era in realtà stata proposta a MicroMega, cui Brancaccio collabora (un suo saggio uscirà sul prossimo “Almanacco di economia” a metà giugno), e di cui Giacomo Russo Spena è anzi una colonna. Ma ho deciso di rifiutarla, proprio per non dare spazio a una tesi che ritengo logicamente assurda e politicamente tragica (nel senso attivo di foriera di tragedie).

Credo che di fronte al dilemma tra un banchiere liberista (espressione dunque del capitale finanziario internazionale, che ormai è mera speculazione selvaggia e produzione di azzardi tossici, responsabile della crisi in cui il mondo è avvitato,) e un politico fascista, la scelta dovrebbe scattare automatica, istintiva, addirittura pavloviana: si vota il banchiere, benché sia voto orripilante, perché il fascismo resta il male assoluto. Questa consapevolezza dovrebbe essere una sorta di anticorpo, di difesa immunitaria, presente come incancellabile DNA nell’organismo neuronal-ormonale di ogni democratico.

Una difesa immunitaria che invece sta rovinosamente venendo meno, e nelle giovani generazioni sembra ancor più che nelle altre, benché il fenomeno sia ormai generale. Il fascismo è visto solo come un male tra gli altri, una forma di sfruttamento tra le altre, per cui tra due mali diventa possibile e anzi auspicabile e perfino doveroso e infine gioioso (così un intellettuale della sinistra francese) astenersi.

L’argomentazione di Brancaccio (l’intervista ha avuto sul web una eco enorme, è stata ripresa da “Mediapart”, continua a circolare, e del resto è in sintonia con lo sciagurato ponziopilatismo di Melanchon) in sostanza è la seguente: la politica finanziaria iperliberista è la causa del lepenismo, dunque sarebbe assurdo immaginare di combattere l’effetto sostenendo la politica che l’ha causato.

L’argomento ha fatto presa, sembra accattivante, come del resto tutte le più efficaci fallacie logiche. Perché di violazione della logica innanzitutto si tratta.

La politica finanziaria (ma anche economica in tutti i suoi aspetti) liberista, infatti, non è la causa del lepenismo, è la responsabile della crisi economica, della mostruosa hybris di diseguaglianza che avvilisce e mina la democrazia in Europa e negli Usa, della crescente e giusta rabbia di masse popolari sempre più vaste, del loro anelito sacrosanto e razionale a punire gli establishment. Il lepenismo è solo una delle risposte a questa situazione. La politica di Sanders, di Podemos, e altre che potranno nascere, costituiscono altrettante risposte possibili alla mostruosità sociale e all’inefficienza economica che il liberismo sempre più selvaggio (ma egemone ahimè da tre decenni e mezzo) incuba e produce.

Insomma, il liberismo finanziario sfrenato, di cui Macron è grand commis, non produce una risposta politica (il lepenismo), produce una catastrofe sociale, il cui esito politico dipende dalla capacità delle culture, dei cittadini, e soprattutto delle elités politiche, che quel liberismo combattono.

Se la conseguenza del liberismo fosse il lepenismo, se il rapporto fosse di causa-effetto, vorrebbe solo dire che ogni agire a sinistra (non le “sinistre” di establishment, sia chiaro, che sinistre non sono e almeno dai tempi di Blair sono solo un’altra forma di destra), ogni impegno per giustizia-e-libertà è mera velleità, è un inconcludente e patetico agitarsi. Che insomma siamo davvero alla famosa fine della storia: hybris liberista o fascismo, il destino è ormai unico e in atto.

La domanda che a sinistra (la sinistra della società civile e della coerenza e intransigenza) ci si deve porre è perciò: la lotta per una crescente giustizia-e-libertà, dove diritti sociali e diritti civili vanno di pari passo inestricabilmente intrecciati, è più difficile se Presidente diventa un fascista o se vince un banchiere liberista? Quale delle due prospettive minaccia costi umani più grandi, sofferenze, sacrifici, per i cittadini e la lotta giustizia-e-libertà?

Qualcuno proclamerà che comunque anche un Presidente fascista non significherà il fascismo … che le istituzioni in Francia sono troppo solide … Vogliamo fare l’elenco di quanti in Italia mentre emergeva Mussolini, in Germania mentre crescevano i consensi per Hitler, hanno avanzato analoghi ragionamenti? Naturalmente è vero che la storia non si ripete mai tale e quale, ma che la prima volta sia tragedia e la seconda farsa è una generalizzazione di Karl Marx tanto brillante sul piano retorico quanto calamitosamente infondata.

Sia chiaro, che personaggi come Macron risultino a un cittadino di sinistra (ma direi a ogni cittadino coerentemente democratico) detestabili financo antropologicamente, è alquanto ovvio. Sarebbe anzi anormale, e segno di insensibilità etica e cecità politica, se non fosse questa la reazione standard, giustificatissima sul piano emotivo e addirittura ancor più sul piano razionale. Ma trarne l’equivalenza con il fascismo sarebbe razionalmente buio ed emotivamente misero. Vorrebbe dire, oltretutto, disconoscere il fondamento delle democrazie europee (di quel che ancora ne resta), la loro Grundnorm, che come insegnava Kelsen regge tutto l’edificio normativo ma non può essere a sua volta una norma, bensì un fatto storico. Quella Grundnorm è la Resistenza antifascista, che vieta di equiparare anche il più reazionario e detestabile dei politici al politico fascista.

(4 maggio 2017)

Bruno Giorgini: Viva Macron. O no

FONTE INCHIESTAONLINE.INFO

AUTORE :  Bruno Giorgini | 2 maggio 2017 | Comments (0)

 

Mio nipote liceale a Parigi è sceso in strada con i suoi compagni al grido di “Nè Le Pen nè Macron…” con quel che segue, grosso modo che l’unica via è la rivoluzione o qualcosa di simile – la parola rivoluzione essendo del resto quasi scomparsa dal lessico anche dei più ribelli tra i ribelli. E si capisce, sono ragazzi che ancora non hanno il diritto di voto e il cui modo di espressione politica altro non può che essere la democrazia della strada.

Ma diversa è la responsabilità di chi al voto ha diritto e lo pratica. Perchè tra Macron e Le Pen si tratta di una scelta obbligata, o l’uno o l’altra tertium non datur. A meno di non astenersi o votare scheda bianca. Ma siccome qualcuno voterà, pochi o molti, uno dei due diventerà comunque Presidente della Republique. Quella che in Costituzione vede scolpite Libertè, Egalitè, Fraternitè.

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Il lugubre voto in Francia: l’analisi di Rossana Rossanda

 

 

 

 

di Rossana Rossanda

I risultati del primo turno delle elezioni presidenziali a Parigi sono stati un poco lugubri: al secondo turno accanto a Emmanuel Macron è uscita Marine Le Pen, con sette milioni e mezzo di voti, più deldoppio di quanti ne avesse fatti suo padre nello scontro con Chirac nel 2002. Il risultato finale non è affatto sicuro.

Le cose sono andate finora così: il Partito Socialista aveva indetto le primarie per scegliere il candidato. Ma quando è uscito Benoît Hamon – uno dei leader della sinistra, l’altro era Montebourg, e già defilato Jean-Luc Mélenchon -, il Partito Socialista non è stato contento, a cominciare da Hollande. Credo che sia stato Hollande medesimo a introdurre al governo Emmanuel Macron, giovane brillante economista, allievo della banca Rothschild. Senonché Macron, a un anno delle elezioni presidenziali, ha deciso per conto suo di presentarsi, contando sul fatto che il PS non si sarebbe mobilitato per Hamon.

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Audi Forest : « Des semaines de 45 heures à la chaîne, c’est intenable »

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Nella crisi di rappresentanza casca l’asino della politica

fonte  NUOVATLANTIDE.ORG  che ringraziamo

di Alfredo Morganti – 25 aprile 2017

Il suo ghostwriter ha 27 anni. Il suo stratega 29. Il coordinatore della sua campagna appena 24. Macron è l’uomo nuovo, ed è al vertice di una cordata di collaboratori nemmeno trentenni. È bene, è male? Dite voi. Va pure detto che è un uomo senza partito, o almeno con un partito personalissimo, praticamente cucito indosso. Ha un programma molto vasto, di cui si tratterà di capire le priorità, come ha già evidenziato D’Alema. Mettere in un calderone tutto, anche cose buone, non vuol dire nulla, bisogna vedere da dove si parte. Al primo turno ha raccolto meno di un quarto dei voti. Secondo Marc Lazar, si è già trattato di voto utile, prodotto nel timore che la sua avversaria potesse prevalere da subito, anche al primo turno. Pare che sia stato votato in massima parte per il programma, a differenza degli elettori di Le Pen, che hanno scelto lei con convinzione. Macron prende voti nelle grandi città, nei territori più prosperi e coesi, tra le professioni e le eccellenze. Il suo elettorato è soprattutto di centrosinistra, ma, dice sempre Lazar, dovrà cercare voti a destra al secondo turno. Le Pen, al contrario, prende voti nei ceti popolari, nella Francia dove la crisi morde di più, nei territori più svantaggiati. Mélenchon invece ha sfondato tra i giovani di 18-24 anni, dove è stato primo. Se questa è la geografia del voto, donde tanto ottimismo?

Tant’è che lo stesso Lazar oggi su ‘Repubblica’ avanza qualche dubbio, e a ragione. Non c’entrano il fascismo e l’antifascismo, o almeno non bastano a spiegare la fenomenologia possibile del voto. Le ragioni sono altre, sociali, legate alla crisi, alle divaricazioni sociali, territoriali, al disagio diffuso, alla provincia che guarda in cagnesco i ceti urbani. Insomma, nessuno si porta da casa nulla, tanto più in una situazione di tale marasma politico. Ripetiamolo: i partiti politici cosiddetti tradizionali (ma io direi i partiti politici tout court) in Francia non sono andati al ballottaggio. Si parla esplicitamente di populismo vs europeismo-globalizzazione, non più di destra vs sinistra. E se c’era nel mondo politico un elemento di effettiva stabilità erano proprio i partiti politici e la divisione tra una destra e una sinistra ad assicurarla in massima parte. Non la legge elettorale garantiva maggioranze, ma parlamenti rappresentativi e ben funzionanti. La connessione tra istituzioni e popolo, non altro, contrastava il dissesto politico.

A forza di sparare su tutti questi elementi, nell’unico intento di offrire la strada spianata al neoliberismo e a una società individualizzata e mediatizzata, oggi la concreta rappresentanza politica e la stabilità che ne conseguiva non esistono più. È una società peggiore e meno coesa quella che abbiamo davanti. La politica non fa più 2+2: ci sono gli algoritmi più astrusi a governare il nostro destino di utenti e consumatori. E allora ditemi come potrebbe Macron dormire tra due guanciali? E come fanno a Bruxelles a sentirsi tanto sereni? Ma il punto è un altro: come potrà Macron presiedere il Paese, nel caso, con questa risicata minoranza elettorale e sociale dalla sua parte? Ed è proprio qui, nella debolezza del maggioritario in tempi di crisi come questi, nella mancanza di rappresentanza e legittimazione, e nella sciocca idea della governabilità, che casca l’asino della politica.

E’ uscito il numero 82 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

E’ uscito il numero 82 del Settimanale di Punto Rosso-Lavoro21

Lo potete scaricare qui:
http://www.puntorosso.it/uploads/1/7/0/3/17033228/lav21-sett-n82-s.pdf

In questo numero:

Giorni di festa ma non per tutti. L’illusione del commercio senza limiti
di Enrico Rossi

Pensioni in Brasile
a cura di Teresa Isenburg

“Il mondo al tempo dei quanti”. Perché il futuro non è più quello di una volta
Recensione del libro di Mario Agostinelli e Debora Rizzuto di Luigi Mosca,
direttore laboratorio Fisica delle Particelle di Modane (France)

Bruno Giorgini: Elezioni francesi. Aiuto tornano i comunisti!

FONTE INCHIESTAONLINE

Au secours, les communistes reviennent !

Alors que Mélenchon concentre les attaques depuis sa percée dans les sondages, la peur du rouge fait toujours recette en campagne, écrit Yves Bordenave, journaliste au service politique du « Monde », dans sa chronique.

 

E’ un titolo rubato a Le Monde del 14 aprile, semironico ma non del tutto, di un pezzo che con altri riempie due pagine con vicende e gesta di Mélenchon, leader del Front de Gauche e candidato dell’estrema sinistra o sinistra radicale che dir si voglia [vedi in alto foto di Mélanchon e titolo di  “Le Monde” del 14 aprile]. Queste due pagine, dedicategli dal prestigioso giornale francese, costituiscono una investitura che va oltre i pur lusinghieri risultati dei sondaggi. E’ la prima volta nella storia della V Repubblica che un esponente a sinistra del PS (Partito Socialista) potrebbe arrivare al ballottaggio. E per di più, se accadesse contro Marine Le Pen, Mélenchon vincerebbe alla grande (60% a 40%) , e con la stessa percentuale batterebbe Fillon, perdendo invece se il ballottaggio fosse con Macron (45% a 55%). Tra i giornali quelli di destra strepitano assai e il capostipite Le Figarò quasi cita la famosa frase del Manifesto di Marx e Engels che recita: Uno spettro s’aggira per l’Europa –lo spettro del comunismo. Al posto dell’Europa mettiamoci Parigi e il gioco è fatto.

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