I cattivi maestri del “Corriere”

Fonte Volerelaluna  che ringraziamo

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C’è stato un tempo nel secolo scorso, ormai lontano, nel quale gli esponenti più qualificati della sinistra politica e sindacale italiana si presentavano ai convegni e agli incontri portando sottobraccio un fascio di giornali di tutte le tendenze: il primo di essi, che fungeva da cartellina contenente tutti gli altri, era immancabilmente il Corriere della Sera. C’era forse un po’ di snobismo in quell’atteggiamento, ma sicuramente c’era anche il riconoscimento che gli editorialisti di quella testata della buona borghesia meneghina sapevano rappresentare e illustrare il punto di vista del capitalismo italiano. L’autorevolezza del giornale era data, agli occhi dei leader della sinistra, dall’autorevolezza di un capitalismo nazionale che, dopo il disastro del fascismo e della guerra, era riuscito a promuovere una forte crescita economica, seppur a fronte di gravi sacrifici sociali imposti ai lavoratori.

Se ci si arma di pazienza e soprattutto di senso dello humour, può essere interessante leggere anche oggi, rigorosamente on line, gli editoriali attuali dell’eterno Corriere della Sera. I tempi sono diversi: la situazione economica e soprattutto produttiva del nostro paese non è più quella di un tempo, anche perché, come sappiamo, il quadro internazionale ed europeo è profondamente cambiato in questo nuovo secolo. Proprio in questi giorni è lo stesso Corriere a informarci che tra le 306 imprese del Paese con un fatturato superiore al miliardo di euro, le prime tre (Enel, Eni, Gse) con un giro d’affari ciascuna di oltre 100 miliardi, sono a controllo pubblico e la quarta (Edison) con solo (…) 30 miliardi di fatturato è a controllo francese. Di seguito vengono altre importanti industrie, in origine sia pubbliche sia private, che sono state cedute a capitali esteri: le poche rimaste italiane nella proprietà hanno provveduto a stabilire all’estero la loro sede legale e, soprattutto, quella fiscale. Il Corriere commenta amaramente il confronto con la Germania, altra e maggiore economia industriale europea: le prime dieci società tedesche, infatti, fatturano da sole quanto le prime 306 imprese italiane. Dunque, il capitalismo industriale privato italiano si è molto ristretto in questi ultimi decenni; gli unici imprenditori che fanno parlare di sé sono i vari Briatore, Garnero-Santanchè oppure i balneari, i taxisti, gli agricoltori con i loro trattori e così via. Forse a causa di questa carenza strutturale, gli editorialisti del Corriere appaiono incerti e incredibilmente confusi.

Un tempo, in politica interna, predicavano un “sano” centrismo; oggi, tra le righe, provano ancora, ma con meno convinzione, a consigliare moderazione (…) sia a Schlein, sia a Meloni: la prima dovrebbe abbandonare il rapporto col Movimento 5Stelle e la seconda dovrebbe contenere le intemperanze dei suoi Fratelli più nostalgici e di Salvini. Ma poi inciampano nei fatti che accadono veramente e la loro pretesa coerenza va a farsi benedire: in Sardegna la coalizione Pd-M5S vince per poche centinaia di voti le elezioni regionali e gli editorialisti del Corriere suggeriscono alla “sinistra” di apprezzare quel sistema maggioritario, drogato da un abnorme premio di maggioranza per la coalizione vincente (a fronte di un astensionismo elevatissimo) e di accettare, quindi, come buone, seppur migliorabili, le proposte presidenzialiste di modifica costituzionale della destra.

In politica estera il Corriere è sempre stato ferreamente atlantista e non poteva essere diversamente: oggi, però, la Nato appare in crisi, sia perché gli Usa sembrano dirottare il loro interesse militare prevalente sul Pacifico nel confronto con la Cina, a maggior ragione nel caso di una futura seconda presidenza Trump, sia perché gli stessi membri dell’Alleanza si muovono in ordine sparso e spesso contraddittorio di fronte alla guerra in Ucraina e a quella in Palestina. Ecco allora che gli editorialisti del Corriere fanno buon viso a cattiva sorte e supportano, sulla scia di Mario Draghi, la necessità di una forte (e costosa) difesa comune europea; intanto il Regno Unito, la Francia, la Polonia, la Germania e di seguito tutti gli altri si muovono, invece, su questo tema in ordine sparso: perciò gli articoli di fondo finiscono per accettare e per proporre più modestamente accordi bilaterali di difesa comune con l’Ucraina.

Ai tempi della guerra fredda, che ha contrapposto la Nato e il Patto di Varsavia, il Corriere si considerava un baluardo anticomunista, pur dovendo in qualche modo fare i conti in Italia con il maggiore partito comunista occidentale: due anni fa, quando la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina, il vecchio spirito dei bei tempi passati è felicemente risorto. Lo scontro tra la Nato e la potenza atomica russa, tra due paesi governati entrambi da oligarchie capitalistiche, nazionaliste, autoritarie e corrotte, è stato letto dal Corriere – ma in questo caso in larga e indifferenziata compagnia con molti altri anche di sponde opposte – come una riedizione delle buone vecchie battaglie di un tempo tra la democrazia liberale e il comunismo. E naturalmente, tra i lettori del prestigioso giornale, qualcuno ci è anche cascato; qualche giorno fa, infatti, in una lettera al giornale un lettore militante così si è espresso a proposito di Putin: «È stato e continua ad essere nella mentalità, negli strumenti e nella repressione della libertà un vero comunista». La risposta, tra il rassegnato e il reticente, di Aldo Cazzullo al fedele lettore è paradigmatica: «[Putin] non è fascista e non è comunista; è un frutto malato del tempo che ci è dato in sorte».

Secondo Angelo Panebianco, invece, la vera malattia di questi tempi è il torpore delle opinioni pubbliche dei paesi dell’Occidente e prova, perciò, a fare una stima: «Un sondaggio ben fatto, probabilmente, mostrerebbe che non più del cinque, massimo dieci per cento, delle opinioni pubbliche si rende conto della gravità della congiuntura storica in cui ci troviamo». E quindi la democrazia da difendere in che cosa consisterebbe?Nell’imporre in qualche modo il punto di vista di quel cinque o dieci per cento che, come il lettore militante di cui sopra, ha le idee più chiare e comunque convergenti con gli autorevoli editorialisti del Corriere? Secondo Panebianco «non possiamo ignorare il fatto che una parte dell’Europa, magari con l’Italia in testa, sarebbe pronta, se le cose si mettessero davvero male in Ucraina, a innalzare un cartello con sopra scritto “meglio putiniani che morti”». Poco oltre, non manca di sottolineare, contradditoriamente, che la minaccia nucleare della Russia non può essere sottovalutata: meglio morti che putiniani, dunque? Qualche settimana fa Ernesto Galli della Loggia l’ha detto più esplicitamente, invitando gli europei e gli italiani a fare i conti concretamente con la possibilità di entrare in guerra.

Ma i veri nemici degli autorevoli editorialisti del Corriere, più ancora che Putin, più dei terroristi di Hamas o degli enigmatici cinesi, sono i pacifisti locali: «Le minoranze politicizzate anti-occidentali: quelli che “è tutta colpa della Nato”, quelli che “le cosiddette democrazie occidentali sono in realtà dittature asservite al capitale finanziario”, quelli che disprezzano Zelensky, quelli per i quali la parola “pace” e la parola “resa” sono sinonimi. Quelli, insomma, che amplificano la propaganda anti-occidentale di Putin. Anche le ampie simpatie per Hamas si spiegano con la diffusa presenza di sentimenti anti-occidentali», secondo Panebianco.

Su questo tema della critica, in particolare, ai giovani occidentali che non si sentono fortemente orgogliosi e riconoscenti di esserlo, il vero specialista è, però, Federico Rampini, anche in forza della sua profonda autocritica di essere stato di “sinistra”: un grave peccato di gioventù, come l’ha definito lui stesso. Se nelle università americane i giovani prendono le distanze dalla politica aggressiva della Nato, se denunciano le stragi di palestinesi, messe in atto da Israele, per vendicare l’assalto di Hamas del 7 ottobre dell’anno scorso, allora per Rampini essi abdicano al ruolo egemone dell’Occidente e spianano la strada al prevalere delle dittature orientali. La delusione per lui è forse ancora più forte, proprio perché è diventato cittadino americano, magari anche per costruire un fossato invalicabile con i suoi peccati di giovane europeo e peggio ancora di italiano: anche negli Usa oggi si trova di fronte a quelle posizioni per lui rinunciatarie e ingrate verso la civiltà occidentale. Ma come sempre implacabilmente i fatti accadono e talvolta contraddicono speranze e illusioni anche dei più autorevoli commentatori: così infilando i pollici nelle sue sgargianti bretelle colorate, prendendo atto che la guerra in Ucraina sta andando male, che gli ulteriori aiuti americani sembrano non arrivare, che la proposta di Macron di intervenire direttamente nel conflitto non ha raccolto nessuna adesione né dalla Nato, né dagli altri paesi europei, Rampini “detta” le condizioni per un armistizio: concessioni territoriali alla Russia in cambio dell’avvio di un lungo e non facile – a detta sua – percorso di adesione dell’Ucraina alla Nato “europeizzata” e all’Unione europea. Ecco, dunque, si concretizza proprio il rischio evidenziato da Panebianco: «Le opinioni pubbliche, man mano che si aggrava la congiuntura internazionale, potrebbero passare repentinamente dalla incomprensione alla paura e dalla paura al desiderio di saltare sul carro del vincitore». E tuttavia questo accade all’interno dello stesso giornale….

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SIPRI YEARBOOK 2022 Armaments, Disarmament and International Security Sintesi in italiano

 

 

 

 

 

Il SIPRI Yearbook è una fonte autorevole e indipendente di dati e analisi su armamenti, disarmo e sicurezza internazionale. Fornisce una panoramica degli sviluppi relativi a sicurezza internazionale, armi e tecnologia, spesa militare, produzione e commercio di armi, conflitti armati e gestione del conflitto, nonché agli sforzi volti al controllo delle armi convenzionali, nucleari, chimiche e biologiche. Questa pubblicazione riassume la 53a edizione del SIPRI Yearbook che contiene informazioni su ciò che è avvenuto nel 2021 in merito a:

  • Conflitti armati e gestione del conflitto, con una panoramica su conflitti armati e processi di pace nelle Americhe, in Asia e Oceania, Europa, Medio Oriente e Nord Africa, e Africa subsahariana, nonché un approfondimento sulle tendenze globali e regionali delle operazioni di pace;
  • Spesa militare, trasferimenti internazionali di armi e sviluppi nella produzione di armi; • Forze nucleari nel mondo, con una panoramica su tutti e nove gli stati dotati di armi nucleari e sui loro programmi di modernizzazione;
  • Controllo delle armi nucleari, con un focus sugli sviluppi del dialogo strategico tra Russia e Stati Uniti, dell’accordo iraniano sul nucleare ei trattati multilaterali sul controllo delle armi e del disarmo nucleare, tra cui l’entrata in vigore del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari;
  • Minacce chimiche e biologiche alla sicurezza, comprese la pandemia di COVID-19, le indagini sul presunto uso di armi chimiche in Siria e gli sviluppi in merito agli strumenti giuridici internazionali contro le guerre chimiche e biologiche;
  • Controllo delle armi convenzionali, con particolare attenzione alle armi disumane e ad altre armi convenzionali fonte di preoccupazioni umanitarie, compresi gli sforzi per regolamentare i sistemi d’arma autonomi letali, il comportamento degli stati nel cyberspazio e gli sviluppi del Trattato sui cieli aperti;
  • Tecnologie dual-use e controllo del commercio di armi, con approfondimenti in merito al Trattato sul commercio di armi, agli embarghi multilaterali, ai regimi di controllo delle esportazioni e al processo di revisione della normativa dell’Unione Europea; nonché appendici sugli accordi di controllo delle armi e di disarmo, sugli enti internazionali di cooperazione in materia di sicurezza e sugli eventi principali del 2021.

 

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Le spese militari in aumento anche nel 2021

Fonte Fondazione Sereno Regis che ringraziamo 
Anticipazione Mil€x: la spesa militare italiana sfiora i 25 miliardi nel 2021, +8,1% rispetto al 2020

La spesa militare italiana si attesta nel 2021 a poco meno di 25 miliardi di euro, secondo le stime anticipate oggi dall’Osservatorio Mil€x. Si tratta di valutazioni effettuate secondo la nuova metodologia elaborata dall’Osservatorio e ricavate dai dati definitivi dagli stati di Previsione finanziari dei Ministeri coinvolti e che evidenzia una crescita annua superiore all’8%.Il dato verrà ulteriormente precisato e definito nelle prossime settimane in occasione dell’uscita del nuovo Annuario  2021 di Mil€x che ingloberà ulteriori dati provenienti dalle documentazioni ufficiali attualmente ancora non disponibili (in particolare il Documento programmatico pluriennale DPP della Difesa e la ripartizione dei costi per le missioni militari all’estero). “A riguardo dei dati che diffondiamo oggi è doveroso sottolineare come non sia possibile una immediata comparazione con le precedenti stime di Mil€x – sottolinea Francesco Vignarca fondatore dell’Osservatorio – in quanto la nuova metodologia cambia radicalmente la considerazione di alcune voci. Abbiamo comunque realizzato un quadro con i riconteggi per gli ultimi tre anni, in modo da delineare le tendenze, in decisa crescita, decise con le ultime tre Leggi di Bilancio”. In particolare il totale complessivo si modifica in maniera rilevante con la nuova valutazione di costi per l’Arma dei Carabinieri: storicamente Mil€x – su indicazioni ufficiali della Difesa – includeva nella spesa militare la metà dei capitoli di bilancio ad essi assegnati, mentre attualmente viene estrapolata una quota (di molto inferiore) dalle indicazioni specifiche che il DPP rilascia sull’uso prettamente militare dei Carabinieri nelle missioni internazionali.Il totale per il 2021 così valutato è dunque pari a 24,97 miliardi di euro, provenienti in larga parte dal bilancio del Ministero della Difesa dedicato ad usi militari.

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Riarmo di Stato

FONTE MILEX

Pubblicato su La Nuova Ecologia il 23 marzo 2018

Nel 2018 il ministero dello Sviluppo economico “investirà” 3,5 miliardi di euro per l’acquisto di armamenti, il 5% in più rispetto al 2017. Tra distorsioni e paradossi

Più che la guerra, l’Italia ripudia il buon senso. È sorprendente scoprire fra i dati contenuti negli stati di previsione allegati alla legge di bilancio che nel 2018 il ministero dello Sviluppo economico sganci 3,5 miliardi di euro per l’acquisto di armamenti militari (+ 5% rispetto al 2017). E ancora più sorprendente è realizzare che questo fiume di denaro è pari al 71,5% dell’intero budget dedicato alla competitività e allo sviluppo delle imprese italiane. Una quota sproporzionata di investimento per un settore che contribuisce allo 0,8% del Pil, mentre a quelle piccole e medie imprese tanto amate e difese in ogni campagna elettorale, che sul prodotto interno lordo pesano per il 50%, restano le briciole.

Non si tratta di numeri sparati a caso per fare propaganda a basso costo. A svelarli è l’Osservatorio sulle spese militari italiane nel secondo “Rapporto Mil€x”. Un progetto lanciato nel 2016 dal giornalista Enrico Piovesana e da Francesco Vignarca della Rete italiana per il disarmo. Senza questo strumento di monitoraggio indipendente sarebbe stato più difficile venire a sapere che nel suo complesso la spesa militare italiana per l’anno in corso ammonta a 25 miliardi di euro: l’1,4% del Pil, il 4% in più rispetto al 2017. Un trend di crescita avviato dal governo Renzi (+ 8,6% rispetto al 2015) che non sembra volersi arrestare. Nel 2018 cresce infatti il bilancio del ministero della Difesa (21 miliardi, + 3,4% rispetto al 2017) come continuano ad aumentare le spese per gli armamenti: 5,7 miliardi, l’88% in più rispetto a tre legislature fa. E si conferma la distorsione per cui queste spese sono possibili solo grazie ai contributi del ministero dello Sviluppo economico.

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Altri due U-212 per la Marina e 20 droni P2HH per l’Aeronautica per 1,8 miliardi di Euro

Ancora miliardi spesi per sistemi d’arma .

Fonte Milex.org

A inizio febbraio il ministro della Difesa uscente Roberta Pinotti – ricandidata in Liguria – ha annunciato davanti agli operai del cantiere navale Fincantieri di Riva Trigoso una nuova commessa per altri due sommergibili U-212 del valore di un miliardo di euro.
Un annuncio sorprendente, dato che questa decisione non è mai stata sottoposta al parere del Parlamento, all’oscuro della decisione della Marina Militare di acquistare altri due battelli sottomarini oltre ai quattro già autorizzati dalle Camere (la prima coppia nel 1995 e altri due nel 2008). Non risponde dunque al vero quanto dichiarato dalla Pinotti: “Il programma prevedeva sei sommergibili, quattro li abbiamo già consegnati, due li abbiamo deliberati nel bilancio 2018”. Nessuno ha mai deliberato l’acquisto della terza coppia. Il riferimento al bilancio 2018 indica solo il rifinanziamento da 36 miliardi del fondo investimenti quindicennale destinato alle opere pubbliche (rete ferroviaria, prevenzione antisismica, dissesto idrogeologico, edilizia scolastica e sanitaria, riqualificazione periferie, ecc.) di cui la Difesa aspira ad accaparrarsi almeno 7 miliardi, oltre ai 13 già incassati l’anno scorso (8 per nuovi armamenti). La ripartizione del fondo deve essere decretata dal presidente del consiglio Gentiloni prima delle elezioni. L’acquisto dei due nuovi sommergibili (in versione potenziata per missioni a lunghissimo raggio) prosegue l’ambizioso programma di rinnovamento della flotta da guerra italiana avviato nel 2014 con la Legge Navale (5,4 miliardi di commesse) con cui la Pinotti ha rilanciato il gruppo industriale pubblico, come ha ricordato con riconoscenza l’ad Giuseppe Bono: “Senza la Legge navale Fincantieri non avrebbe potuto quotarsi in Borsa. Voglio ringraziare il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, per la vicinanza che ci ha dimostrato e che speriamo possa continuare a garantirci anche in futuro”.
Pochi giorni fa il ministro uscente Pinotti ha sottoposto al dissolto Parlamento un decreto ministeriale per ottenere entro fine marzo il via libera delle commissioni competenti all’acquisto da parte dell’Aeronautica Militare di venti droni P2HH della Piaggio Aerospace per 766 milioni di euro, cifra che comprende dieci stazioni terrestri di comando oltre al sostegno logistico (qui il documento presentato dalla Difesa). Una commessa che consentirà all’azienda aeronautica di Villanova di Albenga (dal 2014 di proprietà degli Emirati Arabi) di evitare il fallimento (è in perdita di 247 milioni con debiti per 336 milioni) e il licenziamento di 1.300 dipendenti. L’operazione, da finanziare anche in questo caso con le risorse del già citato fondo investimenti, non risponde evidentemente a esigenze strategiche di difesa nazionale (l’Aeronautica possiede già 7 droni ricognitori Predator appena aggiornati e 6 droni armati Reaper) bensì a logiche di sostegno all’industria, anche in chiave di “prospettive di export” che, si legge nel decreto firmato Pinotti, sono “legate principalmente al ritorno di immagine conseguente all’impiego dei mezzi in attività dal forte impatto mediatico sia in territorio nazionale che all’estero”. Difficile distinguere tra campagna elettorale e campagna commerciale.

La crisi economica non molla la presa, ma per il settore militare è sempre sviluppo a due cifre

FONTE CONTROLACRISI.IRG

I dati forniti dall’odierno rapporto del SIPRI sulle spese militari mondiali nel 2016 confermano l’incremento globale del settore, giunto a 1.686 miliardi di dollari. Dopo diversi anni gli Stati Uniti hanno aumentato le loro spese (611 miliardi di dollari) dell’1,7% rispetto all’anno precedente, seguiti dalla Cina (215 miliardi) con un incremento del 5,4%. Terza è la Russia (69,2 miliardi) con un aumento del 5,9%. Si registra una crescita in alcuni paesi dell’area mediorientale (Iran e Kuwait), mentre in altri una diminuzione (Arabia Saudita e Iraq).

“Diversi paesi produttori di petrolio – non solo mediorientali -, a causa dei suoi prezzi bassi, hanno dovuto contrarre le spese – si legge in una nota firmata da Maurizio Simoncelli Vicepresidente IRIAD. Già si era rilevato a partire dal 2010 sino al 2015 un aumento delle spese militari russe e cinesi, che avevano procurato allarme in Occidente (USA e UE), anche se mediamente le prime rappresentano solo un decimo di quelle occidentali e le seconde solo un quarto. Anche in Europa occidentale, per il secondo anno consecutivo, si riscontra un incremento delle spese per la difesa del 2,6%”.

La nuova amministrazione Trump ha recentemente promesso un significativo incremento di quelle statunitensi con ulteriori 54 miliardi di $ che si andranno ad aggiungere ai 611 dello scorso anno, rappresentando più di un terzo del totale mondiale. “Mentre permane una diffusa crisi economica e si accentua il divario tra paesi ricchi e paesi poveri – continua Simoncelli – sembra che il settore della spesa militare non conosca particolari difficoltà, come è dimostrato anche dall’incremento che si sta registrando nel commercio mondiale di armamenti, corollario della maggiore disponibilità finanziaria nel settore: si è passati infatti dai 19 del 2000 ai 26 miliardi di dollari del 2010 sino ai 31 del 2016. E va ricordato che questo dato non comprende il settore delle armi piccole e leggere (pistole, fucili, mitra, bazooka, lanciarazzi ecc.), più difficile da quantificare, ma stimato intorno al 10-20% del totale mondiale. E il 29% dell’export globale è stato diretto nel quinquennio 2012-2016 proprio verso il Medio Oriente”.

Geopolitica : le intenzioni della Serbia di acquistare S-300

Il portavoce del presidente russo Dmitry Peskov ha commentato i piani della Serbia di comprare dalla Russia i sistemi missilistici S-300; ha dichiarato che il tema della cooperazione tecnico-militare (VCO) appare nell’agenda delle comunicazioni di alto livello.

“Il tema della cooperazione tecnico-militare è legato ad una serie di questioni molto sensibili. Certamente esso si trova all’ordine del giorno nelle comunicazioni di alto livello” ha risposto Peskov alla domanda se la questione delle consegne degli S-300 sia stata discussa con il presidente serbo.

La scorsa domenica il Premier serbo Aleksandr Vucic ha dichiarato che Belgrado ha bisogno di due divisioni di sistemi missilistici antiaerei S-300 e un reggimento di comando, e il loro acquisto è in corso di valutazione con la Russia e la Bielorussia. Il presidente serbo ha personalmente parlato con il presidente russo Vladimir Putin e il presidente bielorusso Alexander Lukashenko.
FONTE SPUTNIK

Commento di Editor
Inquietante questa volontà del governo serbo di acquistare missili S-300 russi. Chi sono nell’immaginario del governo serbo i nemici da cui difendersi con questo sistema d’arma ?
Sulle concrete motivazioni per un acquisto importante di un sistema d’arma così potente da un paese economicamente modesto sarebbe opportuno avere maggiori conoscenze. Cosa dice in merito  la rappresentante dell’Europa Mogherini ? La crescita delle tensioni proprio nell’area balcanica, zona faglia tra occidente e medio oriente è motivo di seria preoccupazione. 

Alcune caratteristiche di questo sistema d’arma.

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