“Gli economisti non sanno più contare”: intervista a Christian Marazzi

Dietro la modesta ripresa economica interrotta dal susseguirsi di flash crash dei mercati finanziari, si nasconde l’incapacità dei modelli economici dominanti di leggere la realtà. Sullo sfondo, la svolta autoritaria del neoliberismo

Dopo un lungo periodo di relativa stabilità dei mercati finanziari a inizio febbraio si sono manifestate delle nuove turbolenze. Sono state fornite diverse spiegazioni contrastanti sull’origine di questo flash crash. I più pessimisti parlano dell’inizio di una nuova ondata di crisi, altri dicono che è il risultato di una ‘eccesiva autonomia’ degli algoritmi che controllano oltre il 60% delle transazioni nelle borse mondiali e sono capaci di determinare vere e proprie profezie auto-avveranti, altri analisti invece – e questo è il dato più interessante – spiegano la volatilità dei mercati con la ripresa dei salari in Usa e con l’accordo salariale che l’IG Metal ha raggiunto in Germania. Ne abbiamo parlato con Christian Marazzi, economista, docente presso la Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.

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Sulle lotte e le prossime elezioni: il punto di vista di Attac Italia

01.02.2018 Attac Italia

Sulle lotte e le prossime elezioni: il punto di vista di Attac Italia

Il prossimo 4 marzo l’Italia torna a votare.

Lo farà in una situazione sociale segnata dagli effetti delle politiche liberiste e d’austerità imposte dai governi succedutisi negli anni, con indicatori di povertà saliti alle stelle.

Lo farà in una situazione politica segnata da una separatezza ormai abissale fra paese reale e istituzioni, con un astensionismo destinato ad aumentare progressivamente.

Di fatto, queste elezioni arrivano in un paese nel quale il conflitto sociale e l’azione dei movimenti scontano un’insufficienza pesante, e dove alla narrazione austeritaria e securitaria corrisponde una preoccupante rassegnazione.

Viene al pettine un nodo fondamentale di questi anni: mentre le persone in campo per il cambiamento, sia esso un conflitto territoriale o una nuova pratica dell’agire comune, non sono mai state così numerose, la loro fiducia nella possibilità di una trasformazione più generale non è mai stata così bassa.

Si scontano, socialmente e politicamente, i pesanti limiti di una sinistra, anche “radicale” che, non avendo fatto un’adeguata analisi del capitalismo nell’epoca dell’economia del debito e della finanziarizzazione della società, ha di fatto interiorizzato la narrazione liberista, focalizzandosi nella rivendicazione di una qualche forma di redistribuzione.

Coerentemente con il nostro percorso associativo e di movimento, non guardiamo all’appuntamento elettorale come ad una scadenza decisiva, perché continuiamo a pensare che solo da una società in movimento possa scaturire l’energia per produrre istituzioni nuove e che oggi la rappresentanza sia molto più il problema che non la soluzione.

Anche perché, in un’epoca di progressivo spostamento dei luoghi della decisionalità fuori dalle assemblee elettive e del conseguente svuotamento di queste ultime, le istituzioni, invece di costituire un argine al pensiero unico del mercato, diventano sempre più spesso un’articolazione dello stesso.

Nella nostra riflessione e nelle nostre azioni abbiamo sempre identificato la necessità di una partecipazione popolare dal basso e inclusiva, come unica garanzia per avviare processi di riappropriazione sociale di tutto quello che ci “appartiene”: beni comuni, diritti sociali, ricchezza collettiva, democrazia.

Per questo, siamo convinti che, di fronte all’esito delle prossime elezioni, qualsiasi degli scenari paventati si realizzi (ritorno al voto per impossibilità di formare un governo, governo della destra, governo di “strette intese” Pd-Forza Italia, governo, forse più immaginario che reale, M5S-Lega), l’unica possibilità continui ad essere rappresentata dalla ripresa di una forte mobilitazione sociale che ponga le vite prima del debito, i diritti prima dei profitti, il “comune” prima della proprietà, gli amori prima dei generi.

Per queste ragioni, non vediamo nessuna possibilità di uscita dall’attuale impasse in proposte come quella di Liberi e Uguali, che non va oltre la riproposizione di un centro-sinistra liberista, pur emendato della recente spocchia (Renzi); e neppure in affermazioni come quella preannunciata del M5S, che in pochi anni ha dissipato tutte le potenzialità di rottura espresse dal voto di 5 anni fa, per inginocchiarsi all’altare della teologia della governamentalità (seduzione dei poteri forti e indifferenza verso i marginali comprese).

Quando il nemico è la democrazia

fonte  comune-info

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di Marco Bersani*

Entro il 31 dicembre di quest’anno gli Stati che nel 2012 avevano sottoscritto il Fiscal Compact (deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche inferiore allo 0,5% del Pil, obbligo di ridurre il rapporto debito/Pil di un ventesimo ogni anno fino a portarlo al di sotto del 60%) dovrebbero decidere se incardinare l’accordo all’interno del diritto europeo, determinandone di fatto la prevalenza sulla legislazione nazionale.

Logica avrebbe voluto che tale decisione fosse presa da ogni Parlamento di ogni Stato che aveva a suo tempo approvato il Fiscal Compact. Così non sarà: non si prevede infatti nessuna discussione democratica all’interno delle istituzioni elettive, bensì l’inserimento della questione all’interno di una più ampia riforma dell’Eurozona che verrà inserita in una Direttiva del Consiglio Europeo da approvare entro la metà del 2019.

In un documento di 40 pagine, la Commissione Europea ha presentato in questi giorni le proprie proposte. Tre sono le novità previste.

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Abbiamo fatto fuori questo Varoufakis – Toni Ferigo

fonte WORKINGCLASS.IT

Il professore è uno scrittore prolifico. Oltre a testi e saggi di economia ,analisi politiche, pubblica anche riflessioni personali : “ pensieri di un marxista immaginario”, “ l’economia insegnata a mia figlia”. L’ultima in ordine di tempo è un diario sulla sua esperienza di ministro nel confronto con le istituzioni della “troika”, EU, IMF, Banca Europea in riunioni incontri, pour parler, dichiarazioni, etc.. Incontrò anche Matteo Renzi che pensò bene, dopo le sue dimissioni,di aprire un consiglio dei ministri italiano con un poco educato, “abbiamo fatto fuori questo Varoufakis”.

Yanis Varoufakis, professore d’economia alla università del Texas ,è stato il ministro delle finanze del governo greco nella trattativa sul debito con l’UE. Sei mesi drammatici. La conclusione è nota. La UE impose alla Grecia l’accettazione delle sue condizioni riassumibili in “ più austerità “. Varufakis , messo in minoranza nella direzione del Partito Siriza si dimise. Oggi è tra i promotori di un movimento europeo DEM25.

La memoria è titolata “adulti nella stanza”. Un titolo un po’ criptico. Chi sono gli adulti e quale la stanza ? La risposta è semplice. In una sua critica a eterodossi oppositori del piano prestito greco Martine Lagarde, presidente del FMI parlò di “ ragazzini nella stanza”. Era parte dell’attacco mediatico a Varufakis e i suoi collaboratori e sostenitori. Rafforzava un immagine fatta di incompetenza, superficialità ed esibizionismo.

Con l’augurio che sia presto tradotto e pubblicato in italiano il diario politico di Varufakis si presta da subito a considerazioni che vanno al di là della cronaca dei fatti. Va collocato entro l’intera storia , lo scenario di fondo su cui si svolse la rappresentazione. Ne tentiamo una sintesi anche con l’aiuto di altre fonti. Le parti in corsivo son tratte dal libro.

Quando Varufakis divenne ministro nel Gennaio 2015 l’economia greca era in condizioni disastrose. E’ bene precisare che l’economista accademico, non era nuovo alla politica, come è stato spesso raffigurato, sino a descriverlo come un apprendista politico, intellettualoide, narcisista benestante. Era membro del parlamento greco. La sua attività in passato non era stata solo accademica ma anche politica. Nel 2010 scrisse in collaborazione con Stuard Holland , figura storica della sinistra inglese, un libretto dal titolo significativo, “modesta proposta per risolvere il problema del debito europeo”. Una impostazione ,allora considerata keynesiana , per questo discutibile dagli ortodossi del tempo. Oggi sarebbe criticata come non realistica , troppo radicale. E’ stato anche consigliere economico del primo ministro Papandreu. Ruolo da cui si dimise dopo due anni di inascoltati consigli.

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